sabato 4 febbraio 2012

Che fine ha fatto la poesia?

di Antonio Ciullo VB
Veniamo da un decennio di crisi e di progresso, due concetti solo apparentemente antitetici; la società in cui viviamo sembra essere caratterizzata da un “frenesismo”, dallo scorrere veloce del tempo, da ritmi serrati che lo inseguono, da una voglia matta di scoprire il proprio talento e seguire determinati percorsi più o meno ambiziosi.
Oggi giorno, in ambito letterario, c’è chi scrive saggi spinto dalla voglia di esprimere il proprio pensiero su un determinato argomento; chi compone romanzi di ingegnosa fantasia; chi scrive articoli o recensioni di mestiere, ma della poesia non vi è alcuna traccia, fatta eccezione per quel Trastruemer, vincitore inatteso del nobel 2011. Eppure mezzo secolo fa la poesia rappresentava ancora uno strumento di riflessione, in grado di trasmettere emozioni come nessun altro genere letterario riusciva.


Sono passati quasi due secoli da quando Leopardi ci aveva messo in guardia contro il progresso, dal momento che non lascia spazio all’immaginazione; ebbene, sembra proprio questo il motivo per cui la poesia non trova spazio nella nostra società. Montale, in un discorso sulla poesia tenuto presso l’Accademia  di Svezia, disse che “il tempo si fa più veloce”; questo a conferma del fatto che un diciottenne  oggi è legato ad una miriade di impegni scolastici ed extrascolastici e quando si ritaglia il suo tempo libero cerca di staccare il più possibile, dedicandosi ad attività pratiche e non certo alla riflessione. Al contrario, al tempo dei grandi poeti, un diciottenne aveva già maturato un suo pensiero, delle proprie opinioni e persino dei forti sentimenti da comunicare all’altro; avendo  in genere limitata attività sociale, faceva della riflessione la sua occupazione principale.
È la nostra società, dunque, che ci lascia poco tempo per riflettere ed immaginare.
A questo punto sembrerebbe proprio che la poesia sia destinata a scomparire; alcuni critici affermano però che la poesia non morirà mai del tutto. Come farà allora la poesia a trovare spazio nella società di massa in cui viviamo? Come farà a non morire del tutto? O meglio, che fine ha fatto la poesia?
Per rispondere a queste domande bisogna prima soffermarsi su che cosa si intenda per poesia. Poesia non è un banale genere letterario, fatto di rime e versi: poesia è una forma d’arte e i poeti sono fondamentalmente artisti. Tutti noi potremmo essere capaci di comporre un testo che abbia la struttura della poesia, ma solo un artista sa trasmettere i suoi sentimenti, rendendoci protagonisti del suo lavoro sublime.
Quale forma d’arte se non la musica presenta oggi sembianze simili? È la musica la poesia dei nostri giorni. Molti giovani dedicano la loro vita a comporre versi e rime per le loro canzoni: chi critica la società scrivendo rime in stile rap, chi con la pop music parla della vita quotidiana, chi in stile rock cerca di ricordare i tempi passati e chi isolandosi nella melodia del jazz compone poesie strumentali. Sono musicisti i poeti del XXI secolo. Molti potrebbero non essere d’accordo perché oggi i musicisti non sono spinti dalla vocazione autentica quanto dalla voglia di emergere, di essere al centro dell’attenzione. Non tutti però appartengono a questa categoria; alcuni sono degli artisti, e se così non fosse non si spiegherebbe il motivo per cui le loro canzoni trasmettono emozioni e sentimenti forti, ci coinvolgono emotivamente,  così come la poesia ha saputo fare per tanti secoli.

Antonio Ciullo VB Sc.

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